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VENERDÌ 11 NOVEMBRE | 16:00 | Cinema delle Provincie
CON: Marin Grigore, Judith State, Macrina Bârlădeanu, Orsolya Moldován, Andrei Finți, Mark Blenyesi, Ovidiu Crișan | REGIA E SCENEGGIATURA: Cristian Mungiu | FOTOGRAFIA: Tudor Vladimir Panduru | MONTAGGIO: Mircea Olteanu | SUONO: Constantin Fleancu, Olivier Dô Hùu, Marius Leftărache | SCENOGRAFIA: Simona Pădurețu | COSTUMI: Cireșica Cuciuc | PRODUZIONE: Cristian Mungiu per Mobra Films; in coproduzione con Pascal Caucheteux, Gregoire Sorlat, Delphine Tomson, Anthony Muir, Kristina Börjeson per Why Not Productions, Les Films du Fleuve, Film I Väst | DISTRIBUZIONE: Bim Film
Drammatico | Romania, Francia, Belgio, Svezia; 2022 | Col. - 125’
Mancano pochi giorni al Natale e dopo aver lasciato il suo impiego in Germania, Matthias ritorna nel suo multietnico villaggio in Transilvania. Il suo desiderio è quello di seguire con maggiore impegno l’educazione di suo figlio Rudi, che ha affidato troppo a lungo alle cure della madre Ana, liberando il ragazzo dai timori irrisolti di cui è diventato preda. È preoccupato per il suo vecchio padre Otto, ma è anche ansioso di rivedere la sua ex amante Csilla. Quando un gruppetto di nuovi lavoratori viene assunto nel piccolo stabilimento che Csilla dirige, la pace della comunità viene turbata e gli adulti cadono preda di paure ancestrali mentre frustrazioni, conflitti e passioni irrompono facendo breccia nella sottile facciata di apparente calma e comprensione.
“Animali selvatici mette in discussione i dilemmi della società di oggi: solidarietà rispetto a individualismo, tolleranza rispetto a egoismo, correttezza politica rispetto a sincerità. Mette anche in discussione il bisogno atavico di appartenere, di identificarsi con il proprio gruppo etnico, con la propria tribù e di considerare naturalmente l’altro con riserva e con sospetto – sia esso appartenente a una diversa etnia o a una diversa religione o a un diverso sesso o a una diversa classe sociale.
È una storia sul tempo passato, percepito come attendibile, e sul tempo presente, vissuto come caotico; sul carattere subdolo e ipocrita di una scala di valori europea che viene più rivendicata che messa in atto. È una storia che parla di intolleranza e discriminazione, di pregiudizio, stereotipi, autorità e libertà. È una storia che parla di codardia e di coraggio, dell’individuo e delle masse, del destino personale rispetto a quello collettivo.
È anche una storia sulla sopravvivenza, sulla povertà, sulla paura e su un futuro feroce. [...] affronta anche il tema degli effetti collaterali della correttezza politica: la gente ha imparato che è meglio non esprimersi se la propria opinione differisce dalla norma del giorno, ma il “politically correct” non è un processo formativo e non serve a cambiare profondamente le opinioni, ma solo a inibire le persone dal dire quello che pensano. Ma così facendo alla fine le cose si accumulano e a un certo punto debordano.
Di per sé la storia non associa le idee “politicamente scorrette” con un’etnia o un gruppo particolari: dal momento che opinioni e azioni sono sempre individuali, non dipendono dall’identità di un gruppo ma da fattori molto più complessi.
Al di là delle connotazioni sociali, nella storia è presente un profondo livello umano generale che parla di come i nostri convincimenti siano in grado di forgiare le nostre scelte, che parla dei nostri istinti, dei nostri impulsi irrazionali e delle nostre paure, degli animali sepolti dentro di noi, dell’ambiguità dei nostri sentimenti e delle nostre azioni e dell’impossibilità di arrivare mai a comprenderli pienamente. Le cose che amo maggiormente nel film sono quelle che non possono essere espresse a parole.”